Il tritacarne mediatico non risparmia nessuno.
Tutti possono dire qualsiasi cosa, improvvisarsi giudici, predicatori, detentori di verità. Il tutto mascherato da un velo di ipocrisia non abbastanza spesso, da nascondere la valanga di fango dalla quale hanno attinto, per accusare prima medici, infermieri, polizia penitenziaria (tutti assolti) e ora i Carabinieri.
Il tritacarne mediatico ci insegna come possa, da un giorno all’altro, cambiare la “verità”. Una verità ancora oggi, non suffragata da alcuna sentenza se non quella di assoluzione di medici, infermieri e agenti di custodia.
Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo editoriale. Ho riflettuto perché, in questi anni mi sono schierata in prima linea, mi sono “insediata” prepotentemente in questo processo mediatico, e ho scritto anche la versione di chi è stato accusato di un delitto così atroce. E l’ho fatto con il doveroso rispetto nei confronti di una persona che non c’è più e del dolore della sua famiglia. Si, pur avendo in questi anni contrastato ed espresso opinioni nettamente contrarie a quelle di Ilaria Cucchi, il rispetto verso il dolore non è mai venuto meno, perché sono riuscita a scindere il dolore dall’ideologia: sia la mia che quella di Ilaria Cucchi. Non ho mai sostenuto che Stefano fosse morto di suo, mai detto che meritasse di morire perché tossicodipendente. Lo preciso perché alcuni mi hanno contestato ciò. Così come ho scisso l’ideologia dal dolore, allo stesso modo, ho scisso l’essere umano dal “peccatore”. I suoi errori avrebbe dovuto pagarli con il carcere e non con la vita sia chiaro, così come ho sempre sostenuto che, se la Magistratura accertasse responsabilità a carico dei Carabinieri, questi avrebbero dovuto pagare come è giusto che sia.
Detto ciò, non mi rimangio né nego, nulla di tutto ciò che in questi anni ho scritto. Perché l’ho scritto leggendo gli atti e sulla base delle dichiarazioni dei legali, che poi vi abbia inserito anche l’idea (non solo mia) che la Cucchi abbia coltivato la sua notorietà, non lo nego e lo riconfermo. È un mio personale convincimento e, in quanto tale, non intacca l’iter processuale. Il tritacarne mediatico però, ci insegna che in questi anni, altri convincimenti abbiano in un certo senso disegnato la linea di questo processo. Inizialmente l’accusa ipotizzava che le percosse Stefano Cucchi le avesse subite nelle celle di sicurezza di piazzale Clodio, da parte della polizia penitenziaria. Circostanza avallata dal legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, che nel ricorso in Cassazione avverso l’assoluzione degli agenti, escluse responsabilità a carico dei Carabinieri ritenendo quelle macchie sotto gli occhi, come eritema riconducibile alla naturale conformazione del ragazzo.
Improvvisamente, l’insufficienza di prove e quindi, la mancanza di un uomo in divisa da consegnare al popolo assetato di vendetta, fa sì, che quell’eritema divenisse il segno di un violentissimo pestaggio. Pestaggio che ha risvegliato le coscienze e le memorie di Carabinieri come Riccardo Casamassima e la sua compagna Maria Rosati, i quali improvvisamente dopo 6 anni, ricordano di avere udito il Maresciallo Mandolini raccontare ad altri sottufficiali, l’avvenuto pestaggio ai danni di Cucchi. Circostanza che secondo Casamassima, sarebbe avvenuta uno o due giorni successivi all’arresto, dunque con Cucchi ancora in vita e con nessuna preoccupazione da questo punto di vista, per i carabinieri presunti “colpevoli”.
Tra l’altro, il Casamassima, oramai social e lanciato sulla piazza mediatica, sostiene di aver sempre denunciato nel corso della sua carriera, superiori per presunti abusi, senza alcuna paura perché lui è un vero Carabiniere e crede nella sua divisa. Peccato però, tocca obiettivamente constatare, che la denuncia sul Caso Cucchi non sia avvenuta con la stessa solerzia delle altre, bensì dopo sei anni. E va bene.
Due giorni fa, dopo 9 anni, anche Francesco Tedesco, fa la sua importantissima ammissione. Sporge una denuncia che dà avvio all’apertura di una nuova inchiesta contro ignoti, nel corso della quale viene sentito tre volte e dichiara di aver intimato più volte ai colleghi D’Alessandro e Di Bernardo, accusati con lui di omicidio preterintenzionale, di fermarsi. Si, di fermarsi, perché lui quella sera avrebbe assistito a scene di violenza che i due colleghi avrebbero perpetrato ai danni del Cucchi. Arriva la svolta nel processo, Tedesco dichiara ciò che – come detto dal PM – ha taciuto in questi anni, in quanto spaventato dalle possibili ripercussioni sulla sua carriera e perché aveva capito di essere solo dinanzi un muro più grande di lui. Secondo la testimonianza resa, Tedesco sarebbe stato indotto dai superiori a tacere, tant’è che la sua annotazione di servizio, che raccontava le dinamiche di quella notte, è stata fatta sparire e non è arrivata mai in Procura.
Questi sono i fatti, ma io voglio ricordare una cosa. Francesco Tedesco è il Carabiniere di cui la Cucchi diffuse la foto in costume, il carabiniere che la Cucchi definì “uno di quelli che si è divertito a pestare mio fratello”. Post su Facebook ripreso da tutti i giornali, che ha visto Tedesco alla gogna e vittima di pesanti minacce. Post su Facebook che ha rovinato la vita di Tedesco e della sua famiglia. Post su Facebook che poi la Cucchi avrebbe cancellato “per errore”.
Tra l’altro Tedesco è lo stesso Carabiniere che, secondo la Cucchi, la guardava “con aria di sfida”. Il Carabiniere a cui la Cucchi avrebbe fatto abbassare lo sguardo. Perché mai Tedesco, che dentro di sé, custodiva questo importante ricordo, avrebbe dovuto guardarla con aria di sfida? Ecco, torniamo al concetto di tritacarne mediatico. Così come all’epoca si gridava all’assassino carcerario, allo stesso modo faceva comodo raccontare agli accecati internauti social, che un presunto pestatore le incutesse timore con lo sguardo. Improvvisamente, adesso Tedesco è prezioso. Perché in questa storia, chi racconta ciò che alla Cucchi piace sentirsi dire, da carnefice diventa eroe. Con la penitenziaria non si è mai scusata. Con Tedesco lo farà? Gli restituira dignità?
Ancora un altro passaggio… Io non voglio entrare nel merito delle dichiarazioni di Tedesco. Le apprendo e come tali le tratto nello studio del caso, in attesa di una pronuncia dei giudici, perché tanto le sentenze non le fa il PM, ma i giudici. Però è doveroso precisare che Tedesco nelle sue dichiarazioni non dice che i suoi colleghi hanno ucciso Stefano Cucchi. Dice che lo hanno picchiato. Questo, seppur grave, è ben diverso da un omicidio. Queste sono percosse e, se saranno accertate con prove incontrovertibili, allora dovranno essere punite come è giusto che sia. Ricordiamo che la perizia medico legale disposta dal Gip ed eseguita da un collegio di luminari, guidati dal prof. Francesco Introna, esclude nesso causale tra lesioni e morte. Dunque, esclude le percosse come causa del decesso Stefano non è morto di suo, ma nemmeno di botte.
In più, mi chiedo… Che interesse abbia mai potuto avere il Maresciallo Roberto Mandolini, a coprire una cosa del genere. Perché farlo? A che pro, considerato che, dalle stesse testimonianze di Tedesco, non avrebbe partecipato materialmente al presunto pestaggio.
Questo per dire che, con obiettività, come ho sempre fatto, continuerò a cercare la verità e a rendere note eventuali anomalie in questo processo. La testimonianza di Tedesco apre un nuovo scenario, e attendiamo di sentire tutte le versioni. Perché nonostante uno dei Carabinieri che ho sempre difeso, abbia ammesso, la presunzione di innocenza vale comunque anche per gli altri imputati che, ripeto, se dovessero essere accertati colpevoli per il pestaggio, allora pagheranno. Ma correggiamo il tiro: colpevoli di pestaggio, e non – come dicono alcuni media – colpevoli di pestaggio che ha provocato la morte del Cucchi. Sulla perizia medico legale non vi è scritto questo.
In quanto alle scuse… Ilaria Cucchi le pretende da un po’ di gente perché adesso è convinta di avere la verità in tasca: ma proprio lei ci ha insegnato che la verità spesso viene riscritta. Sui social eenei tribunali, e questa è ancora all’inizio. Poi se lei né è davvero convinta di questa verità e queste scuse le vuole, bè… Devolva 1.342.000€
di risarcimento avuti dal Pertini, per cause di verità. Chieda scusa alle dignità di chi ha accusato quando i segni del pestaggio erano eritema. Aiuti i giovani avvolti dal buio della droga ad uscirne. Come se lo stesse facendo per Stefano, perché Stefano andava aiutato molto prima, da vivo. Cosi gli renderebbe giustizia per sempre, altrimenti è solo sete di vendetta.