Il Governo e i rappresentanti istituzionali, come il Presidente della Regione Puglia, si stanno comportando come burocrati in cerca di cavilli, invece di affrontare, come merita, quella che è la più grave crisi industriale, attualmente in corso nel Paese.
Appare del tutto evidente che il treno della più grande acciaieria d’Europa si sta dirigendo verso un binario morto ed il conducente non può far finta di niente, appellandosi a Piani ambientali inconsistenti e lasciando all’acquirente privato le possibili proposte di soluzione.
La Fabbrica di Taranto è ancora condotta da una gestione commissariale che continua a navigare a vista, e non potrebbe essere altrimenti, in attesa di passare le consegne al privato aggiudicatario della gara ma, nel frattempo, aumentano i rischi per la salute e per la sicurezza, di operai e cittadini. Tutto questo accade in assenza di garanzie adeguate su tutti i fronti, da quello occupazionale a quello ambientale, e senza che esista una decisione nazionale sul futuro della produzione dell’acciaio, di cui l’Italia è fra i più importanti produttori d’Europa. A quanto sopra descritto va aggiunto che, dopo le discussioni in corso sulla regolarità delle procedure di gara, il Governo ha deciso di rinviare a settembre qualunque statuizione in merito e che, a causa dell’esaurimento dei fondi presenti in cassa, a disposizione dell’attuale gestione aziendale, ci ritroveremo nuovamente di fronte a valutazioni da assumere in tutta fretta o, comunque, a rimettere mano (mentre scade la gestione commissariale) ad una ricapitalizzazione pubblica.
Sinistra Italiana ha sempre bocciato, nel merito, il percorso al quale il Governo precedente legava il futuro del siderurgico italiano. Lo abbiamo fatto perché ne denunciavamo l’assenza di strategia a lungo termine e perché non vedevamo nessuna idea di modernizzazione industriale dei processi produttivi che, a nostro avviso, deve essere il cuore della politiche industriali, per un Paese che vuole essere titolare del proprio destino.
Abbiamo sempre chiesto: il mantenimento dei livelli occupazionali attuali; la Valutazione del Rischio e dell’Impatto Sanitario che non è stata prevista, ma è l’unico strumento in grado di mettere tutti in condizione di definire livelli produttivi e la migliore tecnologia da utilizzare; l’istituzione del Consiglio di Sorveglianza in fabbrica, per consentire alle rappresentanze di lavoratori, Enti locali ed associazioni ambientaliste, di avere un reale potere di controllo sull’attuazione del Piano industriale ed ambientale; la cancellazione dei 4000 licenziamenti e il mantenimento dei contratti già esistenti, eliminando dall’accordo il passaggio al JobsAct che rende facile licenziare.
L’Italia non può delegare a nessun privato le scelte che riguarderanno l’economia nazionale e il concetto stesso di produzione che, oggi, deve diventare compatibile con il progresso sociale e con il diritto alla salute. Questo vale per Ilva come per tutta la realtà industriale italiana ed europea. La sfida deve essere questa, ed oggi il Governo attuale, non solo non la sta cogliendo ma, anzi, sta abdicando al ruolo di guida per il futuro industriale del Paese, rischiando di alimentare ancor di più i ricorsi ai tribunali amministrativi ed a quelli giudiziari, rendendo permanente la crisi industriale attuale, producendo scenari preoccupanti e indefinibili.
Per tutti questi motivi, chiediamo al Ministro Di Maio di rispondere illustrando al Paese quale sia, ammesso che ne esista una, la proposta industriale innovativa che tutti ci aspettiamo da chi ha promesso il cambiamento epocale.
Sinistra Italiana ritiene che sia indispensabile innovare le politiche industriali del Paese e, a ragion veduta, visto il persistere della situazione di stallo, proponiamo di Nazionalizzare l’Ilva. Se per “Alitalia” il Governo parla di acquisire il 51% delle quote societarie, non si capisce perché, a maggior ragione, non si dovrebbe statalizzare la produzione di acciaio che ha una valenza occupazionale e strategica per la posizione economica in Europa, molto più rilevante della compagnia aerea.
Se il Governo mettesse al centro dell’agenda le questioni da noi poste, probabilmente, si ritroverebbe a parlare, oltre che ad un Parlamento meno vuoto, ad un Paese che ha voglia di ripartire davvero perché, prima o poi, le parole, e i sondaggi elettorali, dovranno lasciare il posto ad atti concreti.
Mino Borraccino