Gentile signor ministro Luigi Di Maio, Gentile signor ministro Sergio Costa,
l’associazione Peacelink è entrata in possesso di un documento di particolare importanza e gravità, che intende portare alla vostra attenzione. Si tratta del procedimento amministrativo per individuare il soggetto responsabile della contaminazione da diossina riscontrata in elevate concentrazioni nel territorio di Statte, a nord dell’ILVA. Tale procedimento ha individuato nell’ILVA SPA il soggetto responsabile della contaminazione.Si tratta di un procedimento che non è collegato al processo penale in corso “Ambiente Svenduto” ma che ha una notevole rilevanza in quanto è finalizzato all’applicazione del principio “chi inquina paga”. E’ la prima volta che viene applicato il principio “chi inquina paga” all’ILVA ma la cosa è avvenuta in sordina e senza clamore. L’opinione pubblica ne viene a conoscenza tramite questa lettera che è contemporaneamente inviata anche ai mezzi di informazione.
Il principio “chi inquina paga”
Da tempo PeaceLink chiedeva che – prima di effettuare le bonifiche – venisse “individuato il responsabile”, ossia chi avesse inquinato in modo da applicare il principio “chi inquina paga”. PeaceLink aveva nel 2013 incontrato a Roma il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando chiedendo un sollecito alla Provincia di Taranto e un richiamo alle sue responsabilità – previste dall’articolo 244 del dlgs 152/2006 – al fine di individuare il soggetto responsabile dell’inquinamento. Dopo anni di pressione finalmente risulta avviato un procedimento ai sensi dell’articolo 244 del dlgs 152/2006 limitatamente al territorio di Statte (non ancora di Taranto).
L’ILVA individuata come responsabile dell’inquinamento
Segnaliamo che emergono in tale procedimento tre cose particolarmente importanti: l’apposito piano di caratterizzazione del territorio di Statte (a nord dell’ILVA) ha in particolare accertato – oltre a vari superamenti dei limiti di legge per vari inquinanti – una forte contaminazione da diossine (PCDD) e furani (PCDF) per quanto riguarda i terreni; la Provincia di Taranto – al fine di applicare il principio “chi inquina paga” – ha dovuto avviare – avvalendosi di un tavolo tecnico – un procedimento amministrativo finalizzato ad individuare il responsabile del superamento delle Concentrazione Soglia di Contaminazione (CSC), ai sensi dell’articolo 244 del Testo Unico Ambientale (dlgs 152/2006); alla conclusione di tale procedimento – leggiamo dalla documentazione – la Provincia di Taranto ad aprile “individua il responsabile dell’evento di superamento delle CSC per la matrice ambientale suolo, relativamente ai parametri PCDD/F, nel gestore dell’impianto siderurgico: società ILVA SPA”.
Il nesso ILVA-diossina
Non era mai accaduto prima che per via amministrativa fosse individuato il rapporto causa-effetto fra inquinamento ILVA e contaminazione da diossine e furani dei terreni.
L’individuazione dell’ILVA come soggetto responsabile della contaminazione è il risultato del lavoro di un tavolo tecnico istituito l’1/2/2018.
Nelle carte della Provincia si parla di “un diffuso stato di contaminazione, che interessa sia la matrice suolo sia la matrice acque sotterranee” e “in entrambi i casi il superamento delle CSC è registrato per diversi parametri”.
L’obbligo di bonifica.
E’ un momento molto importante perché finalmente viene applicato il principio “chi inquina paga”. Propedeutico all’applicazione di tale principio è ovviamente l’individuazione del soggetto che ha inquinato e che pertanto è tenuto a farsi carico dei costi della bonifica.
Facciamo presente che l’associazione Peacelink da diversi anni ha chiesto nelle sedi istituzionali l’applicazione dell’art. 244 e cioè l’individuazione del responsabile di contaminazione delle matrici ambientali.
Il ricorso al TAR da parte dell’ILVA
Detto questo segnaliamo un fatto che riteniamo sia doveroso sottoporre alla vostra attenzione. Infatti, a seguito di questa comunicazione della Provincia di Taranto, la società ILVA SPA ci risulta che abbia risposto facendo ricorso al TAR.
Riteniamo che questo sia un atto particolarmente grave.
I Commissari Straordinari nominati per ILVA SPA sono stati nominati con Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 21 gennaio 2015. Fra le loro competenze vi è quella delle bonifiche. Opporsi alle bonifiche è proprio paradossale. Ci saremmo attesi un ricorso al TAR da parte dei Riva o di Arcelor Mittal, ma non dai Commissari che rappresentano lo Stato e dovrebbero esprimere una responsabilità sociale di elevato livello.
Cosa chiediamo al Governo
Pertanto chiediamo
un decreto di revoca dei Commissari Straordinari ILVA;
il ritiro immediato del ricorso al TAR da parte dell’ILVA SPA;
la conseguente applicazione all’ILVA del principio “chi inquina paga”.
Chiediamo la revoca dei Commissari senza alcuna intenzione di lederne la reputazione e l’onore, essendo il loro ricorso al TAR pienamente legittimo, anche se deleterio per gli interessi dei cittadini. Le ragioni che ci spingono alla richiesta di revoca attengono alla scelta di ricorrere al TAR fatta dai Commissari, scelta che contrasta fortemente, a nostro avviso, con gli interessi della comunità che da tempo rivendica non solo le bonifiche ma anche l’applicazione del principio “chi inquina paga”. Riteniamo che l’applicazione di tale principio venga oggettivamente ostacolata dal ricorso al TAR dei Commissari ILVA, dopo che un tavolo tecnico ha individuato nell’ILVA SPA la causa della contaminazione da diossina nel territorio di Statte.
Costi esterni e principio pigouviano
I costi di gestione dell’Ilva di Taranto devono tener presente tutti i costi ambientali che essa provoca. La logica con cui si prosegue è invece quella di non riconoscere e di non contabilizzare i costi esterni. Questa logica va interrotta e vanno inseriti nella contabilità dell’ILVA tutti i costi esterni generati dall’inquinamento che produce perché solo in questo modo si creerebbe un meccanismo di deterrenza economica teso a scoraggiare l’inquinamento. L’applicazione del principio di contabilizzare i costi esterni (sostenuta dal grande economista Arthur Cecil Pigou e che è alla base della normativa europea “chi inquina paga”) deve essere alla base della formulazione del bilancio dell’ILVA. Tale principio pigouviano è un principio di risarcimento e non di compensazione. Va da sé che tale nostra richiesta porta conseguenzialmente alla chiusura dell’ILVA per ragioni squisitamente economiche in quanto l’ILVA ha come punto di forza l’esternalizzazione dei suoi costi ambientali, costi che dovrebbe invece subire mediante una corretta applicazione del principio “chi inquina paga”. L’ILVA è sempre sfuggita a tale principio e ora che per la prima volta lo spettro del risarcimento e della bonifica si materializza, ecco che sfugge alle proprie responsabilità facendo ricorso al TAR. Immaginiamo cosa accadrebbe se, dopo Statte, il principio “chi inquina paga” dovesse applicarsi anche nel quartiere Tamburi dove i costi della bonifica sono attualmente a carico del contribuente e non dell’ILVA.
La strategia perversa: Stato contro lo Stato
Questo episodio del ricorso al TAR da parte dei Commissari ILVA non può essere considerato un evento a sé. Riteniamo faccia parte di una precisa strategia.
L’inquinamento di Taranto e Statte è infatti talmente grave e oneroso che è lo stesso Stato (che gestisce attualmente l’ILVA) a opporsi allo Stato (rappresentato dalle istituzioni obbligate ad applicare il principio “chi inquina paga”). Pur di evitare di evitare di pagare la bonifica, un pezzo dello Stato fa ricorso al TAR contro chi rappresenta la popolazione e l’interesse generale. Lo Stato che rappresenta l’acciaio fa ricorso contro lo Stato che rappresenta la difesa dell’ambiente. E’ una situazione talmente paradossale che è persino difficile da immaginare e da esporre in questa lettera.
La vendita dell’ILVA come pietra tombale su Taranto e Statte
Lo Stato dei Commissari non ci rappresenta. Lo Stato inoltre vuole liberarsi dell’ILVA come di una fabbrica scomoda che – oltre che inquinare – produce in perdita deprivando di risorse pubbliche quello stesso Stato che dovrebbe provvedere alla bonifica.
Lo Stato pertanto vuole sbarazzarsi dell’ILVA per non rispondere più di fronte ai cittadini delle mille domande di giustizia, di pulizia e di lavoro. Lo Stato cerca in Arcelor Mittal la sua via di fuga dalle sue responsabilità, così come il ricorso al TAR costituisce una via di fuga (o un tentativo) dalle proprie responsabilità per gli obblighi di bonifica ambientale.
Ormai è chiara la strategia: si vende per non bonificare e per condannare Taranto e Statte ad un futuro senza speranza di bonifica. Una pietra tombale.
Signori ministri, tutto questo è inaccettabile.
Sappiamo bene che la vendita dell’ILVA porterà nelle casse dello Stato i soldi necessari a pagare le banche creditrici e non a pagare le bonifiche.
Continuare la produzione dell’acciaio a Taranto è un alibi per distrarci dai veri compiti che ci attendono: la bonifica integrale del territorio. Tutto questo è terribile e ci rivolgiamo a voi, signori ministri, perché poniate fine a questo penoso conflitto che contrappone lo Stato dell’acciaio alle istituzioni che rivendicano la legalità ambientale.
Per PeaceLink
Fulvia Gravame
Luciano Manna
Alessandro Marescotti