“Il contrasto al caporalato non passa soltanto dalle leggi e dalle battaglie delle forze dell’ordine che presidiano il territorio. La lotta al caporalato è un fatto culturale che riguarda ognuno di noi nel riconoscere e ritrovare quegli ideali di giustizia che Di Vittorio ci ha insegnato”.
È quanto dichiarato dall’onorevole Ludovico Vico, intervenuto a Bruxelles al dibattito “Giuseppe Di Vittorio – Un protagonista della storia d’Europa. Una vita per i diritti, la giustizia sociale, il lavoro e la pace a 60 anni dalla sua scomparsa”. Un evento organizzato dal gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici del Parlamento Europeo, al quale hanno preso parte, con l’on. Vico, i parlamentari europei Elena Gentile, Sergio Cofferati e Andrea Cozzolino, il presidente del Gruppo nel Parlamento Euorpeo, Gianni Pittella.
“Il caporalato, oggi, nel nostro Paese – ha ricordato l’on. Vico -, è l’ultimo anello della catena della più spregiudicata forma di lavoro nero irregolare, finanche, in taluni casi, della tratta delle persone. Ma chi sono e quanti sono le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, chi sono i caporali e chi fa la commissione al caporale? Andiamo per ordine: i braccianti agricoli e giornalieri di campagna, italiani, sono un po’ di più di un milione; il 70%, la restante parte sono stranieri. Nel Mezzogiorno l’89% è italiano; nel centro nord i braccianti agricoli italiani sono circa il 42%. Lo scenario che si configura è quello di un Paese tagliato a metà: al Sud, prevalenza di braccianti italiani e al Nord di stranieri. In Puglia i braccianti italiani sono il 76%, in Sicilia e Campania il 74%, in Trentino il 38%, in Piemonte e in Veneto il 45%. Abbiamo decisamente a che fare con una gran parte della vita e del lavoro delle italiane e degli italiani e questo non è noto a tutti, perché noi siamo abituati ad assorbire sempre più gli stereotipi mediatici, evitando la lettura delle cose e della realtà vera del Paese. Ebbene, il caporalato, in molti casi, attraversa questo mondo e ne governa il mercato del lavoro, in sostituzione dello Stato e delle leggi. Ciò riguarda prevalentemente il Mezzogiorno d’Italia. Ma chi sono i braccianti giornalieri di campagna, quelli che risultano con i contratti a dieci giorni, quelli della richiesta aperta e, spesso, mai chiusa? Chi prende a prima mattina, prima del sorgere del sole, il pullman o il pulmino senza sapere verso quale meta (che spesso rimane ignota)? Ebbene, sono prevalentemente donne, ragazzi, giovani, pochi adulti maschi; si lavora per campare, le ragazze per il corredo di nozze, per la previdenza sociale minima delle 51 giornate e per la pensione che non si raggiungerà mai, con 51 giornate all’anno. Dicono: meglio 25/27 euro al giorno (dovendo pagare anche il costo del trasportatore), che niente! Tutto questo produce un danno erariale annuo, in termini di evasione, stimato in 600 milioni di euro, mentre il resto della paga contrattuale, tagliata a metà, come fosse una provvigione, entra nelle tasche del caporale di turno. Costui, il caporale, è un intermediario che riceve una commissione e la esegue, organizzando le squadre, decidendo il salario per i lavoratori, il periodo di lavoro, apre la richiesta per il collocamento e deciderà, casomai, quante giornate legali dovranno essere denunciate, utilizza le società interinali e le agenzie private di trasporti, definisce per sé il prezzo dell’intermediazione. Insomma, organizza un mercato del lavoro non legale parallelo a quello ufficiale. E questa attività diventa, poi, una vera e propria tratta delle persone, quando i braccianti sono stranieri e non solo nei periodi delle grandi raccolte del pomodoro, dell’anguria, dell’uva, degli ortaggi, ma sempre, tutti i giorni. Testimonianza ne sono i ghetti di Rignano e di Nardò, di Rosarno, di Castel Volturno e di quello sequestrato nelle campagne fra Ginosa e Castellaneta, nel tarantino, dove braccianti extracomunitari, vivevano e purtroppo continuano a vivere in stato di schiavitù. Ma chi commissiona questa illegalità? Una parte delle aziende ortofrutticole, una parte di aziende agricole, le prime quelle che acquistano sul campo con la tecnica del mordi e fuggi, le altre con la motivazione di minori costi. Ho detto però “una parte”, perché un’altra grande parte delle aziende agricole sono regolari e la loro regolarità la subiscono al costo della concorrenza sleale sul costo d’impresa e sul mercato”.
“La legge 199 del 2016 – dice il parlamentare Dem – emanata in seguito alla morte di Paola Clemente, avvenuta il 13 luglio del 2015 nei campi di Andria, nel barese, con le sue disposizioni, che legislativamente assumono un’azione di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, di riallineamento retributivo nel settore agricolo, sta dimostrando la sua efficacia per il contrasto al caporalato. E questo è dimostrato anche dagli arresti avvenuti nel tarantino qualche tempo fa. È un risultato importantissimo del Governo, dei Ministri Orlando e Martina, del Parlamento italiano, delle due Camere, delle Commissioni giustizia e lavoro, dei sindacati dei lavoratori agricoli, delle loro battaglie e di quelle delle associazioni agricole, che rimangono un contributo decisivo e fondamentale”.
“Qualche settimana fa – ricorda il deputato ionico -, nei campi della bassa Basilicata, nel silenzio, è morta un’altra persona. Ma i familiari della vittima non si sono comportati come il marito e il figlio di Paola. Questo, nonostante grazie a loro e al sacrificio di Paola, oggi ci sia un legge che avrebbe potuto tutelarli. Per questo è importante ribadire che la battaglia per la legalità e la dignità del lavoro agricolo passa dalla cultura. Questo provvedimento, per incidere in profondità, ha ora bisogno di una nuova stagione civile e culturale della lotta al fenomeno del caporalato, che muova dalle istituzioni territoriali e che si rifaccia agli ideali di Di Vittorio”.
Taranto, 7 dicembre 2017