Il primo nucleo del castello risale al 916, quando i Bizantini avviarono la costruzione della “Rocca” a protezione dagli attacchi dei Saraceni e della Repubblica di Venezia. Questa prima fortificazione era costituita da torri alte e strette, dalle quali si combatteva con lance, frecce, pietre, ed olio bollente. Nel 1481 fu realizzato un primo canale navigabile, più stretto dell’attuale e con sponde irregolari, per consentire il passaggio di piccole imbarcazioni e migliorare la difendibilità del castello. Nel 1486, Ferdinando II d’Aragona incaricò l’architetto e ingegnere militare Francesco di Giorgio Martini di ampliare il castello e di conferirgli l’attuale struttura, onde rimpiazzare la tipologia medievale delle torri concepita per la difesa piombante. L’utilizzo infatti dei cannoni in seguito alla scoperta della polvere da sparo, necessitava di torri larghe e basse, di forma circolare per attutire l’urto delle palle di cannone, fornite di rampe o scivoli che permettessero lo spostamento dei pezzi da una torre all’altra, nonché dotate di un ampio e robusto parapetto con specifiche aperture per le bocche da fuoco. La nuova fortificazione doveva comprendere sette torri, di cui quattro unite tra loro a formare un quadrilatero, e le rimanenti tre allineate lungo il fossato fino al Mar Piccolo. Le quattro torri furono intitolate rispettivamente a san Cristofalo, a san Lorenzo, alla Bandiera ed alla Vergine Annunziata.
Il primo castellano, poiché i fondi per ultimare la parte aragonese del castello (il quadrilatero) non erano sufficienti, impose in un primo momento il dazio sulla pesca, successivamente ingrandì il castello unendolo alla torre Sant’Angelo che fu costruita a spese del Comune. Le torri tonde e massicce del castello risultarono alla fine alte e larghe 20 metri, unite tra loro da cortine lunghe 40 metri e con 4 ordini di fuoco. Il castello era dotato di due uscite corrispondenti a due ponti levatoi. Sul fossato passava il ponte del Soccorso, che univa il castello alla zona che allora era campagna e che oggi viene denominata Borgo. Sul lato opposto invece, il ponte dell’Avanzata univa il castello con il borgo antico, sorpassando il fossato scavato per isolare la struttura dalla città.
Nel 1491 fu aggiunto sul lato rivolto al mar Grande il rivellino di forma triangolare tra la torre della Bandiera e la torre San Cristofalo. Il castello fu ultimato nel 1492, come risulta dall’incisione di una lapide murata sulla “Porta Paterna” insieme allo stemma degli Aragonesi inquartato con l’arma dei d’Angiò tripartita:
“Ferdinandus Rex Divi Alphonsi Filius Divi Ferdinandi Nepos Aragonius Arcem Ha(n)c Vetustate Collabente(m) Ad Im(pe)tus Tormentorum Substine(n)dos Quae (Ni)mio Feruntur Spiritu In Ampliorem Firmioremq(ue) Formam Restituit Millesimo CCCCLXXXXII”.
“Re Ferdinando aragonese, figlio del divino Alfonso e nipote del divino Ferdinando, rifece in forma più ampia e più solida questo castello cadente per vecchiaia, perché potesse sostenere l’impeto dei proiettili che è sopportato col massimo vigore – 1492.”.
Con gli Spagnoli, le difese furono rafforzate allargando il fossato e costruendo una nuova fortificazione con tre torri.
Il fossato del castello aragonese, 1880
Con l’arrivo degli Asburgo nel 1707, il castello perse la sua importanza come opera militare divenendo una dura prigione, ma con Napoleone Bonaparte ritornò alla sua funzione originaria. Nel 1883, una delle cinque torri che univano la cortina muraria, quella dedicata a Sant’Angelo, insieme alle torri Mater Dei, Monacella e Vasto del muro civico, furono demolite per fare posto all’attuale canale navigabile e al ponte girevole. I lavori furono ultimati nel 1887, anno in cui il castello diventa una sede della Marina Militare.
All’interno del castello, si può ammirare la cappella di San Leonardo, riconsacrata nel 1933 dopo essere stata adibita nel corso degli anni a corpo di guardia e stalla. Al suo interno si trovano due lastre in carparo addossate alle pareti, che rappresentano rispettivamente un santo vescovo ed un guerriero medievale armato. Si può notare inoltre lo stemma di Filippo II di Spagna. Particolare è anche quella che fungeva da sala delle torture, la cui volta presenta un foro centrale attraverso il quale venivano amplificate e propagate le urla dei malcapitati, intimorendo psicologicamente gli altri prigionieri.
Nel castello di Taranto la lunga prigionia del Conte di Montecristo. La storia straordinaria del primo generale di colore della storia. Il figlio Alexandre si ispirò a lui e alla reclusione di Taranto per il suo romanzo. Ecco che cosa è rimasto della cella in cui si concluse la parabola di un mito dell’esercito di Napoleone. Era il 18 gennaio 1797. «Ho appreso che il somaro che ha il compito di relazionarvi sulla battaglia ha dichiarato che sono rimasto in osservazione durante quella battaglia. Non gli auguro di trovarsi nello stesso genere di osservazione, perché si cacherebbe nei pantaloni». Anche quando si rivolgeva al suo capo supremo, Napoleone, il generale Thomas-Alexandre Dumas mostrava il suo carattere di grande condottiero. Alto un metro e 85, formidabile spadaccino, Dumas fu non soltanto il primo generale nero della storia. Fu il vero Conte di Montecristo. La sua parabola si concluse in una cella del castello di Taranto. Catturato dai sanfedisti nel 1799 dopo un naufragio, Dumas ne entrò forte, baldanzoso, sprezzante. Due anni dopo ne uscì guercio, sordo da un orecchio, zoppo. Una paresi aveva immobilizzato la parte destra del suo volto. Benché fosse scampato miracolosamente a più tentativi di avvelenamento, la sua vita finì praticamente qui. Si reggeva su un bastone. Aveva 39 anni. Il figlio scrittore – Alexandre Dumas – si ispirò al papà per il personaggio di Porthos nei Tre Moschettieri e descrisse nel Conte di Montecristo, il più grande romanzo d’appendice dell’Ottocento, la penosa prigionia di Taranto. Edmond Dantès era in realtà il padre, il generale Dumas. Il castello d’If, nel Golfo di Marsiglia – la terrificante prigione di Dantès – era il castello di Taranto. La cella in cui 215 anni fa s’inabissò la leggenda dell’ufficiale più ammirato dell’esercito napoleonico è oggi un salone grande cinque metri per dieci destinato all’accoglienza dei turisti nel castello aragonese.