“Ho cominciato ad interessarmi di questo fenomeno dopo la morte di mio fratello, e ho letto una trentina di libri a riguardo. Purtroppo è una realtà non soltanto siciliana, ma si è estesa a livello nazionale. La mafia è un’organizzazione che tende al lucro e non bada minimamente a risparmiare la vita nemmeno ai servitori dello Stato”. A dichiararlo è Vincenzo Basile, fratello del Capitano dell’Arma, Emanuele Basile, ucciso durante un agguato mafioso a Monreale, in Sicilia, dove prestava servizio, il 4 maggio del 1980, a soli 30 anni. Di Emanuele Basile si dice che sia un eroe senza tempo, ricco di valori, che credeva fortemente nelle istituzioni. Un uomo che ha dato la sua vita per gli altri, e che non si è fermato di fronte a nulla e nessuno. E’ stato fermato, 34 anni fa, “per quello che ha fatto, e per quello che avrebbe ancora potuto fare”, come dichiarò all’epoca Paolo Borsellino. Per quest’ultimo, Emanuele Basile, era un valido e fedele collaboratore.
Basile nasce a Taranto il 2 luglio 1949, terzo di cinque fratelli, padre impiegato della Marina Militare. Ha frequentato a Taranto, dove è cresciuto, la scuola elementare “Giusti”, la scuola media “Alfieri” e il liceo scientifico statale “Battaglini”, dove si è distinto per scrupolosità, capacità ed impegno. Inizia la sua carriera militare nel 1986, accedendo all’Accademia Militare di Modena, dove risultò uno dei migliori del corso. Promosso Tenente nel 1972, per otto mesi fu assegnato al battaglione dei Carabinieri di “Forte San Giuliano” di Genova. Dal 1973 al 1976 ha retto la tenenza di Sestri Levante. Proprio nel 1976, diventa padre della piccola Barbara, nata dal matrimonio con Silvana Musanti. Basile arriva a Palermo dopo la promozione a Capitano, ed entra a far parte del nucleo investigativo, retto dal Colonnello Giuseppe Russo, caduto anch’egli per mano della mafia nel 1977 a Corleone. Nel 1977 Basile, arriva alla Compagnia di Monreale, in Provincia di Palermo, e a sua disposizione, considerata l’importanza strategica per il controllo sulla mafia, aveva quaranta automezzi e circa cento uomini. L’impegno del Capitano Basile a Monreale si è particolarmente distinto. Egli condusse indagini sulla cosca mafiosa di Altomonte, impegnata nel traffico internazionale di droga, riciclaggio di denaro e sporco, e fautrice di 17 omicidi in soli due anni. Per questa stessa indagine fu ucciso il capo della squadra mobile palermitana Boris Giuliano. Anche su quest’omicidio vi fu il massimo impegno del Capitano Basile, che arrivò ad individuarne mandanti ed esecutori. Una vita quella di Emanuele Basile, alla costante ricerca della verità. Ha cercato di contrastare il fenomeno del traffico internazionale di droga per salvare tante vite umane che purtroppo soggiacciono a questa dipendenza. Laddove regna l’omertà, però, la verità è un ostacolo da eliminare. Al nome di Emanuele Basile, si accostano importanti personalità che hanno fatto la storia dello Stato italiano, nella sua massima espressione di giustizia e legalità. Tra questi troviamo il giudice Paolo Borsellino, ucciso anch’egli da Cosa Nostra, nella strage di via D’Amelio, insieme ad alcuni agenti di scorta nel luglio del 1992.
“Ho cominciato ad interessarmi dei processi di mafia da quando mi hanno ucciso il mio valido collaboratore Emanuele Basile” questo è quanto Paolo Borsellino all’epoca dichiarò in un’intervista televisiva, e suo fratello, Vincenzo Basile, tiene a ricordarlo. Fu proprio Borsellino ad improntare il processo sulla morte di Emanuele Basile. Un processo travagliato, durato 12 anni, con una prima assoluzione in primo grado per insufficienza di prove, e tornato per tre volte in appello, appena giunto in Cassazione. Emanuele Basile fu ucciso il 4 maggio del 1980, mentre rientrava in caserma dopo aver partecipato al ricevimento presso il comune di Monreale, al termine dei solenni festeggiamenti in onore del Santo Patrono. Il Capitano fu colpito alle spalle da colpi di arma da fuoco, mentre reggeva in braccio la figlia di appena 4 anni, e accanto gli era la moglie. Il delitto sarebbe fruttato al suo esecutore, la nomina a “capo decina”. Ad ucciderlo furono Armando Bonanno, Giuseppe Madonia, Vincenzo Puccio. Bonanno scomparve con il cosiddetto metodo della “lupara bianca”, e Puccio fu ucciso nel 1989. I quattro esecutori e i mandanti, boss di Cosa Nostra, furono condannati all’ergastolo, assolti in primo grado per insufficienza di prove. La pena fu confermata in appello, dove il processo ritornò per tre volte, come stabilito dalla Cassazione. Infine, dopo 12 lunghi anni, la Cassazione confermò l’ergastolo, e il magistrato che emanò la sentenza, Antonino Saetta fu ucciso insieme al figlio Stefano, con colpi di arma da fuoco, nella propria auto. Questa è la mafia, la parte di cui è dato sapere, la stessa che nel 1983 uccise il Capitano Mario D’Aleo, 29 anni, sostituto di Basile, insieme ai colleghi Giuseppe Bommarito e Piero Morici.
“Oggi so di cosa è capace la mafia”. Questi sono i ricordi di Vincenzo Basile, che da 37 anni a questa parte, porta in giro per l’Italia il nome di suo fratello, affinché i giovani possano concepirlo come modello da seguire, per amore della verità, l’unica vera, grande cosa, che può vincere la mafia. Una vita breve la sua, ma impegnativa. Il lavoro al primo posto, e nessuna paura nel pronunciare quella parola taciuta dai più, nella bella Sicilia degli anni ’70, tanto bella quanto sottomessa al silenzio “a costo della vita”. Emanuele Basile, è un eroe forse dimenticato. Perché quando si adempie il proprio dovere si rischia di finire nel dimenticatoio. Ma in tanti hanno voluto mantenere vivo il suo ricordo, raccontando la sua storia, divulgando il suo coraggio, e incidendo il suo nome in varie città. Un atto dovuto, un atto d’affetto, a chi per la verità e per la lotta alle mafie ha pagato con il sangue. E tante sono le testimonianze di affetto, tese a ricordare quest’uomo dai grandi valori morali, che ha sacrificato la propria vita per veri ideali, ovvero quelli di giustizia e legalità, che nulla hanno a che fare con i millantati “ideali” di chi, impronta la propria vita, sull’ostacolare e boicottare le divise. E sono rimasti in pochi, per fortuna.
di Elena Ricci