Il nostro primo pensiero in questa giornata lo rivolgiamo doverosamente all’ennesima vittima di una fabbrica assassina. Ieri, come certamente saprete, si è consumata la settima tragedia nello stabilimento Ilva di Taranto negli ultimi quattro anni. Un ragazzo di appena 25 anni, Giacomo Campo, è morto mentre si svolgevano le operazioni di manutenzione a un nastro trasportatore. Non vogliamo commentare le dinamiche per le quali il lavoratore è rimasto ucciso ma una considerazione vogliamo farla, soprattutto in riferimento alla nota aziendale sulla ricostruzione dell’incidente: come lavoratori del Comitato la riteniamo falsa perché la nostra esperienza diretta ci consente di dire con certezza che un nastro trasportatore se è in sicurezza non può ripartire da solo.
L’indignazione non ci basta più, abbiamo terminato le lacrime per tutti i morti dentro e fuori la fabbrica! Lo Stato italiano ha palesemente fallito il suo obiettivo di risanare la fabbrica e venderla al migliore offerente. Signori, a Taranto i governi assassini e conniventi con le lobby di potere e quindi anche con il gruppo Riva precedentemente, continua a produrre acciaio ad ogni costo, sacrificando la vita degli operai e dei cittadini. Nonostante il sequestro nel 2012 degli impianti che provocano malattia e morte, l’area a caldo non ha mai smesso di produrre e abbiamo dovuto contare 7 omicidi di Stato, davanti ai quali il governo non si è fermato, anzi, è passato sui cadaveri dei lavoratori ancora a terra con tutti i decreti che conosciamo.
Presidente Emiliano, lei ieri ha detto che “la nostra pazienza è finita”, noi lo diciamo da anni ormai: il governo ha svenduto Taranto, i suoi cittadini e gli operai. Presidente Emiliano, non siamo più disposti a morire per il Pil nazionale.
Tre governi diversi hanno prodotto solo promesse non rispettate e dieci decreti, non ultimo quello con cui si garantisce ai commissari e agli eventuali acquirenti l’immunità penale e permette alle banche di rientrare dei loro crediti scaricando l’onere non sull’eventuale acquirente ma sulla collettività. I cittadini di Taranto ed i lavoratori non vogliono più continuare a essere presi in giro così come accaduto in tutti questi anni.
Fino ad oggi la nostra posizione non è mai mutata, noi viviamo la fabbrica e la città quotidianamente, sappiamo perfettamente che tutte le opere fin qui decantate in favore dei fantomatici lavori di messa in sicurezza e di allineamento all’A.I.A., sono state soltanto in piccola parte eseguite, fungendo da specchietto per le allodole. Non è un caso che l’autorizzazione integrata ambientale sia slittata al giugno 2017, a dimostrazione che tutti i soldi dei contribuenti, fin qui stanziati e spesi, sono serviti per garantire esclusivamente le banche e per allungare l’agonia dello stabilimento.
Ancora oggi, chi si esprime proponendo soluzioni lo fa senza cognizione di causa, un esempio su tutti il Presidente della Regione Puglia Emiliano, che va sbandierando la decarbonizzazione dell’Ilva in favore del preridotto.
Specifichiamo che in un’acciaieria a ciclo integrale come quella dell’Ilva di Taranto, non è considerabile fattibile una riconversione da forno a carbone, a forni elettrici che funzionerebbero con gas metano, date anche le dimensioni degli altiforni.
In questo momento in fabbrica, dei cinque altiforni, uno è stato dismesso nel 1993, mai bonificato pur rientrando negli atti di intesa e nell’Aia non ancora applicata, ad oggi rimane come reperto archeologico per future generazioni; l’altoforno cinque, il più grande d’Europa, è ormai spento da più di un anno.
Il presidente Emiliano, o chi per lui, si è mai chiesto quanti metri cubi di gas sarebbero necessari per sostituire il Carbon Coke e mantenere lo stesso livello produttivo? Evidentemente no, perché con il preridotto ridurrebbero la produzione e di conseguenza anche i posti di lavoro, per i quali oggi non abbiamo ancora ascoltato alcuna soluzione alternativa.
A seguito di tutte le osservazioni che sono state fatte sul preridotto, che andrebbe ad abbassare l’impatto ambientale riducendo unicamente la produzione di agglomerato, nulla è stato fin qui considerato circa lo scarico e il trasporto del materiale per cui lo stabilimento di Taranto non è attrezzato, poiché i nastri trasportatori sono funzionali unicamente al trasporto di fossile e minerale.
A supporto di ciò, c’è che da prove già effettuate con il trasporto del preridotto su tramogge e nastri, sono sorti diversi problemi, per questa ragione il materiale è scaricato dalle navi, per mezzo delle gru, sulle banchine e introdotto attraverso il trasporto su gomma nello stabilimento. Per quanto concerne la produzione, integrando piccole percentuali di preridotto e diminuendo l’agglomerato, abbatteremmo di poco la produzione di diossina ma continueremmo a produrre benzene, toluene, xilolo, idrocarburi e polveri di coke.
Non si può credere alle promesse di questo governo che in quattro anni non ha ottemperato alle prescrizioni dell’A.I.A., prolungando di decreto in decreto i tempi per la definitiva realizzazione della stessa che non avrebbe portato alcun beneficio in termini ambientali, figuriamoci se potremmo credere nella riconversione di uno stabilimento vecchio di sessanta anni a ciclo integrale in un’acciaieria a forni elettrici che comporterebbe l’abbattimento di tutti gli altiforni, le cokerie, gli agglomerati e un rilevante ridimensionamento dell’attuale forza lavoro.
La vera utopia è considerare che quello stabilimento possa essere messo a norma dal punto di vista ambientale e della sicurezza. Gli impianti pieni di amianto e ormai vecchi e spremuti come limoni, andrebbero demoliti e tutte le aree decontaminate e bonificate, salvaguardando i posti di lavoro e la salute – due diritti fondamentali garantiti dalla costituzione – di operai e cittadini. La prima generazione di operai ha ottenuto il pre-pensionamento, la seconda la legge sull’amianto e la terza generazione, invece, cosa farà? A 50 anni di età e 20 di stabilimento siamo già dei rottami. Le nostre famiglie e i nostri figli subiscono le conseguenze dell’inquinamento prodotto dal nostro lavoro, questo ricatto è insopportabile.
Le nostre alternative, quindi, per salvaguardare salute e lavoro sono:
- chiusura programmata di tutte le fonti inquinanti – a Taranto non è solo l’Ilva a inquinare ma anche Eni, Cementir, Marina Militare, inceneritori e discariche -;
- smantellamento di tutti gli impianti inquinanti;
- bonifica e decontaminazione dei terreni e della falda formando professionalmente e reimpiegando tutta la forza lavoro delle aziende e dell’indotto, utilizzando il Fondo Sociale Europeo e/o i fondi per la formazione continua per i dipendenti d’imprese private che sarebbero di competenza della Regione Puglia;
- riconoscimento ed estensione dei benefici dell’amianto; prepensionamento; avvio di una mobilità lunga;
- incentivi alla fuoriuscita volontaria (da quantificarsi e a carico dello Stato) e accesso al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG/FEAG) per offrire un sostegno ai lavoratori “in esubero”.
- Infine, lo ribadiamo anche qui, oggi, vogliamo la riconversione industriale ed economica per Taranto compatibilmente con quelle che sono le vocazioni del territorio.
Taranto ha bisogno di un futuro senza più ricatti e senza vittime innocenti.
A.P.S. “Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”